Baby-Killer quando l’omicida è un minore

Baby-Killer quando l’omicida è un minore
Il termine baby-killer si vuole fare riferimento a soggetti che ancora giovanissimi minori di 14 anni agiscono da soli rendendosi colpevoli di omicidio

Baby-Killer quando l’omicida è un minore – Con il termine baby-killer si vuole fare riferimento a soggetti che ancora giovanissimi, minori di 14 anni, agiscono da soli rendendosi colpevoli di omicidio, ed il cui comportamento omicidiario è l’espressione di un profondo malessere personale.
Dallo studio di un’ampia casistica di omicidi commessi a partire dagli anni ’60 negli Stati Uniti, si è potuto tratteggiare il profilo del baby-assassino con l’intento di comprendere l’eziologia della sua condotta.
Confrontando l’immagine del baby-killer, emersa dall’analisi della letteratura scientifica, con quella ricavata da una ricerca empirica si è rilevato che nel nostro Paese la conoscenza del fenomeno è ancora piuttosto confusa e superficiale.

L’analisi della letteratura

Dall’analisi di materiale specifico sull’argomento, proveniente in larga parte dagli Stati Uniti, il Paese più colpito dalla criminalità minorile, è emerso che la maggior parte degli autori di omicidio sono di sesso maschile e si colloca nella fascia di età che va dagli 11 ai 18 anni. Molti sono i preadolescenti coinvolti nella realizzazione di delitti e numerosi sono anche gli episodi in cui l’azione assassina è perpetrata da bambini di 5-6 anni o di età ancora più precoce.

Apprendere che anche bambini molto piccoli arrivano, con apparente disinvoltura, ad uccidere ci ha indotto ad interrogarci sul concetto infantile di morte per comprendere il significato che i bambini attribuiscono ai termini morire ed uccidere. La nozione di morte del bambino piccolo non è equiparabile, ovviamente, a quella posseduta dall’adulto. Al di sotto dei 6 anni circa infatti la morte viene concepita come un evento temporaneo e paragonata al sonno. Avendo quindi una concezione non realistica di morte, il bambino che uccide non si rende conto di causare un evento irreversibile e di compiere un’azione irreparabile. Idee erronee sulla morte vengono alimentate, inoltre,
dai mezzi di comunicazione di massa. La televisione ed il nuovo mondo dei videogames hanno trasformato la morte in un gioco, in uno spettacolo, rendendola meno permanente e meno angosciosa. Incapaci di distinguere tra realtà e fantasia i bambini possono rimanere disorientati dalle immagini trasmesse dal piccolo schermo fino al punto di formarsi la convinzione che la morte sia un evento fittizio dal quale è possibile rinascere.

Se quindi i bambini molto piccoli possono essere ragionevolmente prosciolti dall’accusa di omicidio, poiché agiscono senza riflessione e senza colpa, tutti gli infraquattordicenni, secondo la legislazione italiana, sono comunque considerati incapaci di sviluppare l’intenzionalità di uccidere, poiché si ritiene che non abbiano raggiunto l’attitudine a distinguere il bene dal male.

L’analisi del rapporto di conoscenza tra autore e vittima di reato ha evidenziato che gli omicidi vengono commessi soprattutto a danno di conoscenti ed estranei, anche se per estranei si intende persone legate al loro aggressore da un sottile vincolo di conoscenza.

L’omicidio intrafamiliare costituisce, infatti, una percentuale minore sebbene rimanga comunque un fenomeno rilevante.

La vittima del baby-killer non è casuale, ma scelta in virtù di determinate caratteristiche. Si tratta di un soggetto odiato o di una persona che per alcune peculiarità lo rappresenta.
La vittima può essere un sostituto o un surrogato dell’individuo che si vorrebbe colpire ; viene identificata con una figura interna deprivante e frustrante ed è quindi capace di attivare il conflitto inconscio che spinge l’omicida ad uccidere. La vittima può essere anche una persona sulla quale il bambino proietta la parte cattiva di sé : essa diventa il contenitore dei propri impulsi inaccettabili, un oggetto verso il quale riversare la propria ostilità ed aggressività. E’ come uno specchio nel quale si vede riflessa la propria immagine negativa che si vuole a tutti i costi distruggere per liberarsi dai sensi di colpa (vittima espiatoria) .

Nel novero delle vittime sono inclusi bambini, adolescenti ed adulti. La vittima “tipica” è quella più accessibile e vulnerabile o quella che suo malgrado riesce a porsi in una situazione di vulnerabilità.

Quando un baby-killer uccide qualcuno nel gruppo dei pari è in genere per dimostrare la propria forza e la propria superiorità. Egli adotta un comportamento aggressivo e violento poiché lo ritiene essere l’unico modello valido di affermazione. I ragazzini che rivestono il ruolo della vittima sono amici di scuola o compagni di gioco dell’aggressore :si tratta di solito di soggetti fisicamente deboli, passivi, remissivi e tranquilli.

Data la loro superiorità fisica, gli adulti vengono invece attaccati in situazioni in cui diventano più vulnerabili ed indifesi : durante il sonno, quando sono sotto l’effetto dell’alcool o mentre sono voltati di spalle. Una categoria particolare di vittime è costituita dai genitori. I padri o patrigni uccisi dai propri figli sono uomini irascibili, violenti, spesso alcolizzati ed abusivi. Vengono descritti come padri assenti, punitivi e poco affettuosi. Le vittime di matricidio sono di solito donne dominanti e possessive e madri rifiutanti ed ambivalenti che mostrano atteggiamenti seduttivi verso i figli Sono state evidenziate, inoltre, caratteristiche comuni nel modus operandi dei baby-killer.. Innanzittutto vi è un’alta prevalenza di omicidi scaturiti a seguito di litigi.

Il delitto rappresenta spesso l’evento conclusivo di una situazione a lungo stressante o l’epilogo di una disputa di tipo fisico o verbale. I giovani criminali avendo un grado di mobilità inferiore a quello degli adulti hanno una maggiore probabilità di commettere il reato all’interno della propria abitazione o in prossimità del luogo di residenza. Essi, inoltre, agiscono da soli e non in gruppo. L’omicidio commesso da baby-killer è caratterizzato dalla mancanza di un movente apparentemente logico. La ricostruzione della dinamica dell’assassinio fa spesso supporre ad un evento accidentale. In realtà il movente c’è anche se non è di così immediata comprensione. Una connotazione peculiare del delitto è l’efferatezza con cui si provoca la morte della vittima.

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Autore Norma Colucci psicologa Centro Studi e Ricerche di Psicologia Giuridica dell’Università Cattolica di Milano