Identità smarrite – Alzheimer

La malattia

La malattia di Alzheimer-Perusini, detta anche morbo di Alzheimer, demenza presenile di tipo Alzheimer, demenza degenerativa primaria di tipo Alzheimer o semplicemente Alzheimer, è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età presenile (oltre i 65 anni, ma può manifestarsi anche in epoca precedente). Si stima che circa il 60-70% dei casi di demenza sia dovuta a Alzheimer disease (AD).

Questa malattia prende il nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer che per primo scoprì che il tessuto cerebrale dei soggetti presentava la riduzione delle cellule nervose e placche senili visibili anche a occhio nudo. Con l’utilizzo di procedure di osservazione microscopica con colorazioni chimiche si sono evidenziate poi, su porzioni predefinite di cervello, la presenza di ammassi proteici non degradabili e solubili che compromettono la funzionalità cerebrale. La malattia infatti evolve attraverso un processo degenerativo che distrugge lentamente e progressivamente le cellule del cervello e provoca un deterioramento irreversibile di tutte le funzioni cognitive superiori come la memoria, il ragionamento e il linguaggio, fino a compromettere l’autonomia funzionale e la capacità di compiere le normali attività quotidiane. L’inizio è generalmente insidioso e graduale e il decorso lento, con una durata media di 8-10 anni dalla comparsa dei sintomi.
Il rischio di contrarre la malattia aumenta con l’età. Ogni anno, nel mondo, ci sono circa 7,7 milioni di nuovi casi di demenza senile. In Italia si stimano circa 500.000 malati. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha definito il problema di salute più grave del XXII secolo, invitando i singoli paesi a occuparsi di questa malattia come di una priorità nell’ambito della salute pubblica.
Non si tratta tuttavia di una malattia che colpisce i soli anziani, esistono infatti casi sporadici di persone che possono presentare un esordio precoce della malattia prima della quinta decade di vita.
Il 99% dei casi di malattia di Alzheimer è “sporadico”, ossia si manifesta in persone che non hanno una chiara familiarità. Solo l’1% dei casi di malattia di Alzheimer è causata da un gene alterato che ne determina la trasmissione da una generazione all’altra.

Cause

Il 99% dei casi di malattia di Alzheimer è “sporadico”, ossia si manifesta in persone che non hanno una chiara familiarità. Solo l’1% dei casi di malattia di Alzheimer è causata da un gene alterato che ne determina la trasmissione da una generazione all’altra. Ad oggi sono note alterazioni di tre diversi geni che possono portate alla malattia di Alzheimer. La causa sia dei casi sporadici che di quelli familiari pare risiedere in un’alterazione del metabolismo di una proteina, detta APP (proteina pecursore di beta amiloide) che per ragioni ancora ignote a un certo momento della vita inizia ad essere metabolizzata in modo alterato, portando alla formazione di una sostanza neurotossica (appunto la beta amiloide) che si accumula lentamente nel cervello portando a morte neuronale progressiva.
Esistono inoltre alcuni fattori di rischio, fattori cioè che determinano una generica predisposizione allo sviluppo della malattia, leggermente superiore a quella manifestata da soggetti che non presentano tali fattori.
Generalmente, le forme ereditarie hanno un’alta penetranza, cioè molte persone di una famiglia (3 o più) sono colpite dalla malattia. Inoltre, la maggior parte delle forme ereditarie esordiscono in età relativamente giovanile (prima dei 65-70 anni) e l’età di esordio dei primi disturbi è relativamente stabile all’interno della stessa famiglia. Maggiore è il numero di persone affette nella stessa famiglia e maggiore è la probabilità che la malattia abbia una causa ereditaria, così come più l’età all’esordio è giovanile e maggiore è la probabilità.
Inoltre fattori ambientali che possono giocare un ruolo importante, come ad esempio, traumi o esposizione a sostanze tossiche (alluminio, idrocarburi aromatici). Il fattore di rischio più rilevante è l’età: come ampiamente dimostrato da numerosi studi, l’incidenza e la prevalenza di questa malattia aumenta marcatamente con l’età.
Un alto grado di istruzione e un’occupazione che richieda un elevato livello di attività cognitiva sembra avere un effetto protettivo sull’insorgenza della demenza, in quanto aumenta l’efficienza dei circuiti neuronali e la cosiddetta brain reserve, ossia la capacità del cervello di attivare al bisogno circuiti neuronali alternativi. Va però sottolineato che anche persone che non abbiano un livello culturale o occupazionale elevato hanno le medesime possibilità di proteggere la propria efficienza intellettiva mantenendosi mentalmente attivi attraverso attività che tengano il cervello in esercizio e stimolino le capacità cognitive superiori.
Per l’insorgenza di demenze diverse da quella di Alzheimer, come la demenza vascolare, è determinante la presenza di fattori di rischio vascolare, quali il fumo, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione, l’obesità e la presenza di patologie concomitanti importanti come il diabete mellito e le cardiopatie.

I primi sintomi

Le caratteristiche cliniche della malattia possono variare notevolmente da soggetto a soggetto, tuttavia il più precoce ed evidente sintomo è in genere una perdita significativa della memoria che si manifesta all’inizio soprattutto con difficoltà nel ricordare eventi recenti e successivamente si aggrava con lacune in ambiti sempre più estesi. Oggi sappiamo che la perdita di memoria è la diretta espressione della perdita, nel cervello, di materia grigia, in particolari aree cruciali per i nostri ricordi, come l’ippocampo, una struttura cerebrale deputata espressamente alla formazione ed al consolidamento memorie. Spesso, a questo primo sintomo, si associano altri disturbi quali: difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane, con conseguente perdita dell’autonomia; disturbi del linguaggio con perdita della corretta espressione verbale dei pensieri, denominazione degli oggetti oppure impoverimento del linguaggio e ricorso a frasi stereotipate.  Altre volte il sintomo che si associa al disturbo di memoria può essere rappresentato anche dal disorientamento spaziale, temporale e topografico.
Frequenti sono anche alterazioni della personalità: più precisamente l’anziano appare meno interessato ai propri hobby o al proprio lavoro, oppure ripetitivo. La capacità di giudizio è diminuita spesso precocemente, cosicché il paziente manifesta un ridotto rendimento lavorativo e può essere incapace di affrontare e risolvere problemi anche semplici relativi ai rapporti interpersonali o familiari. Talvolta l’inizio della malattia è contrassegnato dalla sospettosità nei confronti di altre persone, accusate di sottrarre oggetti o cose che il malato non sa trovare. Nella grande maggioranza dei casi, solo a distanza di 1-2 anni dall’esordio della malattia il disturbo della memoria è tale che i familiari ricorrono all’aiuto di uno specialista perché i sintomi iniziali dell’Alzheimer sono spesso attribuiti all’invecchiamento, allo stress oppure a depressione.

Gli stadi della malattia

La suddivisione del decorso della malattia in fasi ha lo scopo unicamente di orientare chi si occupa del malato sulle caratteristiche evolutive delle malattia al fine di consentirgli un’adeguata pianificazione dell’assistenza e una maggior consapevolezza di quanto potrà accadere e come affrontarlo. Il decorso della malattia varia infatti da persona a persona. Possiamo comunque individuare 3 principali fasi di malattia.

1. Demenza lieve (durata media 2-4 anni):
è caratterizzata da disturbi di memoria, come dimenticare i nomi e i numeri di telefono, ma, data la natura non grave di questi segni, possono passare inosservati o essere giustificati come conseguenze naturali dell’età. La perdita progressiva della memoria, soprattutto quella recente, può interferire con il normale svolgimento degli impegni quotidiani. Il soggetto ha difficoltà ad orientarsi nello spazio e nel tempo, per esempio può avere problemi a ritrovare la strada di casa. Anche il linguaggio comincia ad essere compromesso: compaiono difficoltà a produrre frasi adeguate a supportare il pensiero, vengono utilizzate pause frequenti per incapacità a “trovare la parola giusta”. L’umore diviene più depresso a seguito della consapevolezza della propria progressiva disabilità, oppure la reazione può essere caratterizzata da manifestazioni aggressive e ansiose.

2. Demenza moderata (durata media 2-10 anni):
è la fase temporalmente più duratura in genere, ed è caratterizzata da un aggravamento dei sintomi presentati nella fase precedente. Le dimenticanze sono sempre più significative; aumenta l’incapacità di ricordare i nomi dei famigliari con la possibilità di confonderli, cosi come aumenta il disorientamento topografico, spaziale e temporale. In questo stadio la necessità di supervisione e assistenza nelle attività quotidiane si fa più urgente, il paziente tende a trascurare il proprio aspetto, la propria dieta e le attività quotidiane; le turbe dell’umore e del comportamento divengono più rilevanti.

3. Demenza grave (durata media 3 anni):
è la fase terminale della malattia durante la quale la persona malata è completamente dipendente e richiede assistenza continua e totale per mantenersi in vita. E’ caratterizzata da una perdita totale della capacità di parlare e capire, può però essere mantenuta fino a questa fase la capacità di esprimere emozioni attraverso il viso. Il soggetto diviene totalmente incapace di riconoscere i propri famigliari, di compiere gli atti quotidiani della vita come vestirsi, mangiare, lavarsi, riconoscere i propri oggetti personali e la propria casa. Il movimento è ormai totalmente compromesso fino all’allettamento, non vi è più alcun controllo sfinterico.

Il dramma dei familiari

Di fronte alla sofferenza di questa patologia e al bisogno reale di prendersi cura quotidianamente ed assiduamente del malato, è normale che gli equilibri familiari crollino. I familiari spesso si trovano costretti a dover adottare una serie di cambiamenti di fronte all’evento malattia come: modifiche organizzativi riguardo il tempo da dedicare alla cura, al controllo, al compromesso con gli altri impegni lavorativi e relazionali; spesso vi è una preoccupazione costante riguardo cosa potrebbe dire la gente dei comportamenti del malato; vi è anche il disagio di come gestirlo qualora attui comportamenti inopportuni in luoghi aperti e affollati. Inoltre è molto comune l’esperienza di un capovolgimento dei ruoli che da sempre differenziavano la struttura familiare: accade cosi che il genitore malato, un tempo capace di offrire cure e sostegno, diviene “bambino”, bisognoso a sua volta di cure e di tanta attenzione. Allo stesso tempo anche i figli, o lo stesso coniuge, sentono la sofferenza della rinuncia dell’identità del proprio caro e devono ingegnarsi mettendo in campo tutte le proprie risorse per far fronte al cambiamento.

Come affrontare la malattia di un parente

La cura di un parente malato di Alzheimer è faticosa ed economicamente impegnativa. Ad aggravare la situazione c’è certamente il dolore nel vedere il proprio caro privato della memorie e dell’identità, e sempre più invalido. C’è anche da sopportare il peso di dover prendere decisioni importanti, come quella ad esempio di dover ricoverare il proprio familiare in una casa di cura. Anche per questo motivo il familiare in causa rischia l’esaurimento psicologico e fisico, ciò che viene chiamato burnout. Ma se si vuole salvare una persona che sta annegando, è necessario prima mettersi in sicurezza.

Quindi due consigli:

  • Rivolgersi ad un associazione che si occupi di Alzheimer e farsi dare tutti i consigli e le informazioni necessarie per essere preparati sui problemi che insorgono con il progredire della malattia. Si possono trovare dli indirizzi su internet o si può chiedere al medico curante.
  • Queste associazioni organizzano anche gruppi di ascolto dove si riceve ascolto, comprensione, solidarietà e supporto psicologico per affrontare una situazione certamente stressante e nella quale problemi pratici e psicologici si intrecciano.
  • Fonte 1: wikipedia
    Fonte 2: centroalzheimer
    Fonte 3: quipsicologia